domenica 30 ottobre 2011

Storia d'Italia in musica-Dall'unità alla prima guerra mondiale

Le canzoni popolari si possono dividere in diverse categorie: ci sono ad esempio le canzoni di lavoro cantate per alleviare le fatiche del lavoro; si tratta spesso di motivi che hanno versioni leggermente diverse a seconda delle zone oppure canzoni diverse con lo stesso motivo musicale. I canti sono derivati dalla tradizione per cui è molto difficile precisarne il periodo di origine. Tra i canti di lavoro i più famosi vi sono quelli delle mondine; proprio tra tali canti poi si trovano anche esempi di un altro genere, sviluppatosi nella seconda metà dell'Ottocento: si tratta dei canti anarchici e di protesta divulgatisi con lo sviluppo del socialismo e dei movimenti per i diritti dei lavoratori. In alcuni canti delle mondine troviamo la denuncia delle durissime condizioni di lavoro a cui erano sottoposte. Al terzo genere di cui mi voglio occupare appartengono le canzoni degli emigranti, sviluppatesi in particolare dopo il 1870 quando molti nostri connazionali partivano con la tradizionale valigia di cartone piena di stracci e di speranze. Passiamo ora ad analizzare nello specifico questi tipi di canti a cominciare con quelli delle mondine.
Il lavoro delle mondine era durissimo e il canto servira come passatempo per alleviare la fatica; i testi parlano tipicamente della vita nella risaia e spesso fanno riferimento anche ai sentimenti come l'amore.
Un esempio è dato da “Amore mio non piangere” che racconta il saluto al fidanzato di una giovane mondina che ha terminato i mesi di lavoro e torna al suo paese, dove l'aspettano i genitori( Amore mio non piangere/ se me ne vado via/io lascio la risaia/ ritorno a casa mia). La canzone denuncia la fatica del lavoro e i ritmi durissimi delle risaie( Non sarà più la capa/che sveglia a la mattina/ma là nella casetta/mi sveglia la mammina) in particolare nell'ultima strofa ( Mamma, papà, non piangere/se sono consumata/è stata la risaia/che mi ha rovinata). Un altro famoso canto proveniente dal repertorio delle mondine è “Sciur padrun da li belli braghi bianchi” col quale venivano fatte le richieste di salario al padrone; il testo parla di giovani mondine che per la prima volta hanno svolto il loro lavoro, durante il quale hanno anche fatto degli errori ( “A scusa sciur padrun sa l’em fa tribuler/i eran li premi volti, i eran li premi volti/ can savieum cuma fèr” ovvero scuscaci signor padrone se l'abbiamo fatta “tribolare” erano le prime volte non sapevamo come fare) e, arrivato il momento della partenza, chiedono il salario( “Sciur padrun da li beli braghi bianche föra li palanchi c'andum a cà” ovvero signor padrone dai bei calzoni bianchi, fuori i soldi che andiamo a casa). Un'osservazione sul padrone: il fatto che porta i calzoni bianchi è indice sia di ricchezza sia del fatto che non fa lavori faticosi.
Tra i canti delle mondine possiamo, come detto, trovare esempi di canti di protesta: questi vennero diffusi nella seconda metà dell'800 grazie alla nascita dei movimenti socialisti e anarchici e direi anche grazie alle esperienze della prima e soprattuto della seconda internazionale. Il repertorio di questi canti è vastissimo ma per rimanere nel campo delle mondine prenderò come esempio “Sebben che siamo donne” conosciuta anche con altri titoli come “La lega” o “Paura non abbiamo” e altri ancora. Il canto risale probabilmente agli inizi del '900 comunque non più tardi del 1914; ce ne sono varie versioni che differiscono tra loro per qualche parola ma il significato di fondo è lo stesso: le donne che per amore dei figli si mettono insieme chiedendo libertà e soldi (“... e noi altri socialisti(lavoratori in altre versioni) vogliam la libertà” e nell'ultima strofa “ E voialtri signoroni/che ci avete tanto orgoglio/abbassate la superbia/ e aprite il portafoglio). Nel testo vi è anche l'attacco violento ai crumiri ovvero quei lavoratori che non partecipavano agli scioperi, e per questo erano considerati alleati dei padroni e nemici dei proletari ( “ E la libertà non viene/ perchè non c'è l'unione/ Crumiri col padrone/son tutti d'ammazzar).
Uno dei canti di protesta più famosi è “Addio a Lugano” meglio conosciuta come "Addio Lugano bella" scritto dall'anarchico Pietro Gori nel 1895, quando fu condannato all'esilio dalla Svizzera, poichè era considerato l'ispiratore dell'omicidio del presidente francese Sadi Carnot. Durante una breve prigionia che precedette l'esilio scrisse il famoso testo nel quale troviamo dapprima la proclamazione della propria innocenza(“cacciati senza colpa/gli anarchici van via” il plurale è dato dal fatto che oltre a lui erano stati condannati all'esilio altri esuli), poi l'attacco al governo svizzero( “Ma tu che ci discacci/con una vil menzogna/repubblica borghese/un dì ne avrai vergogna” e più avanti “Elvezia, il tuo governo/schiavo d'altrui si rende/di un popolo gagliardo/le tradizioni offende/e insulta la leggenda/del tuo Guglielmo Tell”). Inoltre si possono trovare nel canto i valori di amore, e pace che gli anarchici dicevano di sostenere(“eppur la nostra idea/non è che idea d'amor” “Banditi senza tregua/andrem di terra in terra/a predicar la pace/ed a bandir la guerra). Il canto conobbe molta fortuna tra gli anarchici dell'inizio del secolo scorso e non solo: dopo la seconda guerra mondiale fu cantato anche da diversi cantanti e cantautori tra i quali Giorgio Gaber, Francesco De Gregori e Milva.
Di pochi anni posteriore è “Il feroce monarchico Bava”, testo anonimo scritto dopo i disordini scoppiati a Milano a causa dei rincari del prezzo del pane, repressi nel sangue dal gnerale Bava Beccaris. Il canto condanna la sanguinosa repressione unendo sdegno ed ironia( Alle grida/strazianti e dolenti/di una folla che pan domandava/il feroce monarchico Bava/gli affamati col piombo sfamò). Forte è la critica alla monarchia e ai monarchici( Deh non rider sabauda marmaglia/se il fucile ha domato i ribelli/se i fratelli hanno ucciso i fratelli/sul tuo capo quel sangue cadrà!) per questo è considerato un inno socialista, che però può essere anarchico e repubblicano. Di particolare carica emotiva è l'ultima strofa che evoca l'immagine di madri che, al calar della sera, piangono i loro figli ingiustamente( almeno nella visione dell'autore) arrestati o uccisi(Su piangete mestissime madri/quando oscura discende la sera/per i figli gettati in galera/per gli uccisi dal piombo fatal).
Cambiamo ora argomento e passiamo ad un altro importante, ma anche drammatico, capitolo della storia italiana: l'emigrazione; il cancro della disoccupazione attanagliava la nazione e molti cittadini poveri erano costretti a cercare la fortuna nel continente americano. Ricordiamoci di loro, della loro sofferenza ma anche della loro speranza; quegli uomini hanno dimostrato di avere forza e coraggio ben al si sopra di quanto ci si potesse aspettare da dei “pezzenti”. Per aiutarci a ricordare esistono molte canzoni che si rifanno a questo tema; una delle più famose, diffusa soprattutto nel Nord-Italia è “Mamma mia dammi cento lire”. Le versioni esistenti sono ovviamente diverse a seconda della zona ma il tema è comunque lo stesso cioè una figlia che chiede alla madre i soldi per andare in America. Ci si immaginerebbe quindi la tipica visione della famiglia vestita di stracci che viene accolta negli USA dalla Statua della Libertà... ma sarebbe un errore: l'America a cui si riferisce il testo è quella meridionale che era la meta preferita dei contadini settentrionali nella seconda metà del XIX secolo. Tornando alla canzone, la mamma non vuole che la figlia parta ma la ragione non è il costo del viaggio (Cento lire io te le do/ ma in America no no no) bensì la paura del viaggio. L'insistenza dei fratelli però convince la madre ad acconsentire alla partenza seppur a malavoglia (Vai, vai pure o figlia ingrata/che qualcosa succederà). La nave in effetti affonda provocando la morte della giovane, in alcune versioni questo fatto è esplicitato (il mio sangue è rosso e fino i pesci del mare beveran/la mia carne è bianca e pura la balena la mangerà) in altre è implicito; comune a molte versioni (se non tutte) è l'ultima strofa in cui la figlia rimpiange di non aver ascoltato la madre. Il naufragio della canzone è simbolico per indicare i pericoli dell'emigrazione e del mare. Purtroppo nella storia d'Italia i naufragi delle navi che trasportavano emigranti era una triste realtà: uno dei più drammatici fu quello del Sirio, nave che nell'Agosto 1906 affondò nello stretto di Gibilterra. Il vaporetto era in servizio da oltre venti anni e il 2 Agosto era partito da Genova alla volta dell'America del sud; a bordo vi erano numerosi passeggeri di prima e seconda classe e circa 1200 emigranti. Il 4 Agosto il transatlantico urtò uno scoglio, l'urto fece cadere in acqua numerosi passeggeri che morirono annegati. La nave però non affondò subito ma ci mise ben 16 giorni, purtroppo i soccorsi furono caotici e quindi molti passeggeri perirono; il numero preciso è discusso: per le fonti ufficiali è di 293 ma la stampa, mai smentita, parla di oltre 500 vittime. La tragedia fu un duro colpo per la marina italiana e presto si diffuse una canzone popolare che parlava della vicenda, “Il tragico naufragio della nave Sirio”. Il testo è breve conta quattro strofe da due versi e una quinta di quattro versi. È evidente il contrasto tra la strofe 2 e le strofe 3 e 4: si passa dall'allegria dei passeggeri all'ultimo abbraccio dei genitori ai figli durante l'annegamento(Ed a bordo cantar si sentivano/tutti allegri del suo, del suo destin. / Urtò il Sirio un orribile scoglio/di tanta gente la mise, la misera fin / Padri e madri bracciava i suoi figli/che si sparivano tra le onde, tra le onde del mar). Nell'ultima strofa si fa riferimento a un vescovo, questi era il vescovo di San Paolo in Brasile, anche lui risultò fra le vittime. L'affondamento del Sirio rimane una delle pagine più drammatiche della marina italiana e non a caso è stato più volte definito come “Il Titanic degli italiani”. Tanti uomini che in un occhio avevano una lacrima di nostalgia per il paese che lasciavano e nell'altro la luce della speranza: un maledetto scoglio le ha portate via entrambe!

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